Dopo l’accordo Ceta praticamente raddoppiano nel 2020 le importazioni di prodotti alimentari canadesi in Italia che crescono in valore del 77% rispetto all’anno precedente, più di cinque volte rispetto all’aumento nello stesso periodo delle esportazioni di cibo Made in Italy nel paese dell’acero (+14%). E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sugli effetti dell accordo di libero scambio tra Ue e Canada in base ai dati Istat relativi al primo semestre 2020 divulgata a tre anni dell’entrata in vigore in via provvisoria dal 21 settembre 2017 del trattato di libero scambio tra Unione Europea e Canada, peraltro mai ratificato dal Parlamento italiano.
Una accordo che si sta rivelando un ottimo affare soprattutto per il Paese nordamericano ma che alimenta preoccupazioni per l’Italia A trainare il boom degli arrivi dal Canada infatti sono – spiega Coldiretti – il grano e gli altri cereali che aumentano dell’82% con una vera e propria invasione nonostante il prodotto canadese non rispetti le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale vigenti nel nostro Paese e sia trattato con l’erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate sul territorio nazionale dove la maturazione avviene grazie al sole. Una situazione che – denuncia la Coldiretti – fa concorrenza sleale al Made in Italy provocando il crollo delle quotazioni del grano nazionale che mette in pericolo la vita di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano spesso in aree interne senza alternative produttive e per questo a rischio desertificazione. Le importazioni di grano duro canadese hanno affossato i prezzi di quello italiano nonostante un raccolto nazionale mediamente in flessione intorno al 3% rispetto allo scorso anno e il un balzo nei consumi di pasta degli italiani durante il lockdown con un vero boom della pasta di grano 100 per 100 Made in Italy.
A preoccupare – sottolinea la Coldiretti – è anche la crescita record del 91% delle importazioni di carne canadese, visto che nel Paese nord americano per l’alimentazione degli animali è consentito l’uso di derivati di sangue, peli e grassi trattati ad alte temperature, senza indicazione in etichetta, un sistema che in Europa è vietato da oltre venti anni a seguito dello scandalo della mucca pazza. Proprio quell’emergenza – afferma la Coldiretti – è costata all’Italia e all’Europa un pesante bilancio in termini di perdite di vite umane, costi sociali ed economici, con il panico che si era diffuso fra i consumatori mentre carcasse di mucche e vitelli bruciavano in enormi roghi per arginare l’epidemia.
“La presenza sui mercati esteri è vitale per il made in Italy ma negli accordi di libero scambio va garantita reciprocità delle regole e salvaguardata l’efficacia delle barriere non tariffarie perché non è possibile agevolare l’importazione di prodotti ottenuti secondo modalità vietate in Italia” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “occorre lavorare per una profonda revisione dell’accordo che tuteli il Made in Italy dalla concorrenza sleale e garantisca ai consumatori la sicurezza alimentare”.