La scorsa notte è venuto a mancare Enea Gibertoni. Aveva 92 anni, era nato il 4 settembre del 1928 ed era uno degli ultimi testimoni diretti della resistenza nel territorio di Soliera. Con un testo scritto di suo pugno, qualche mese fa aveva voluto raccontare per brevi cenni la vicenda di Ornello Pederzoli, anche lui partigiano, solo di pochi anni più grande, morto nel marzo del 1945. E così la Festa della Liberazione che Soliera celebrerà domenica prossima alle 12, in diretta streaming sulla pagina Facebook “Città di Soliera”, verrà dedicata a Enea con la lettura del racconto donato da Gibertoni alla comunità.
Il sindaco Roberto Solomita gli dedica le parole che seguono: “avresti dovuto essere il protagonista del prossimo 25 Aprile, leggendo una testimonianza della tua esperienza da partigiano. Lo leggeremo noi per te, tenendo alta la bandiera come hai sempre fatto, perché la memoria di quei sacrifici che ci hanno dato la libertà non si esaurisca mai. Ciao Enea.”
Enea era l’ultimo di quattro fratelli: tre maschi e una femmina. Era nato a Bomporto dove aveva abitato fino all’età di sei anni. Nel 1934, rimasto orfano di madre, con il padre si era trasferito a Limidi, in un piccolo podere di proprietà della chiesa. “Una sera”, racconta Enea, “venne a casa nostra il parroco insieme a un gerarca fascista; chiamò mio padre e gli disse di lasciare immediatamente il podere, perché doveva venirci ad abitare quella persona. Con grande sconforto trovammo un’altra sistemazione.”
“Nel 1940”, prosegue la narrazione autobiografica di Enea, “Mussolini decise di entrare in guerra al fianco di Hitler e i miei fratelli furono chiamati alle armi: Tonino, il maggiore, fu inviato a combattere in Tunisia; Silvestro, il secondogenito, fu inviato nei pressi di Roma. Entrambi furono catturati. Potete immaginare il tormento di mio padre. Ogni volta che rincasava, rivolgeva lo sguardo al quadro con il ritratto del Duce, che doveva essere presente in ogni casa, e lo malediva. La stessa cosa, certamente, non poteva fare in pubblico; farlo avrebbe significato, perlomeno, restare senza lavoro. Pur essendo poco più di un ragazzo, di fronte a queste situazioni drammatiche avevo cominciato a nutrire una forte avversione verso i fascisti; così, appena avuta l’occasione, sono entrato delle file dei partigiani”.