Una malattia rara ma con un incremento dell’incidenza che la pone tra le neoplasie emergenti nel mondo occidentale: il tumore tipo adenocarcinoma dell’esofago, è all’8° posto tra i tumori più diffusi al mondo (dato AIRC), una cosiddetta “patologia del benessere” la cui diagnosi tutt’oggi avviene spesso in maniera tardiva quando le terapie non possono essere risolutive.
La grande attenzione del mondo medico-scientifico sul tema è evidenziata dal continuo confronto tra specialisti: recentemente si è svolto il congresso della European Society for Esophageal Diseases (ESDE) durante il quale sono state presentate rilevanti nuove acquisizioni scientifiche in riferimento alla diagnosi e alla terapia dell’adenocarcinoma dell’esofago.
Studi rilevanti sono stati prodotti dall’Esophageal Adenocarcinoma Study Group Europe (EACSGE), gruppo di specialisti coordinato dal prof. Sandro Mattioli (foto), professore dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, direttore della Unità operativa di Chirurgia Toracica e del Centro per lo Studio e la Terapia delle Malattie dell’Esofago di Maria Cecilia Hospital di Cotignola (RA) e della Clinica Privata Villalba a Bologna.
“Oggi la diagnosi della malattia avviene prevalentemente in fase avanzata, con un tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi pari al 10% – dichiara il prof. Mattioli –; nello stesso lasso di tempo, la sopravvivenza dei pazienti sottoposti a terapia chirurgica radicale associata a terapia oncologica (chemioterapia e radioterapia), secondo vari schemi terapeutici, non supera globalmente il 45% dei trattati. L’interesse della comunità scientifica per l’adenocarcinoma esofageo è quindi oggi molto vivo, per la crescita esponenziale di questa malattia e per la possibilità di migliorare i risultati delle terapie attraverso lo studio delle sue caratteristiche biologiche”.
L’adenocarcinoma dell’esofago è una malattia correlata all’obesità e all’invecchiamento della popolazione, due aspetti che, con un complesso processo di interazione, favoriscono l’insorgenza dell’ernia gastrica hiatale, della malattia da reflusso gastro-esofageo (MRGE) e la trasformazione metaplasica della mucosa esofagea denominata “esofago di Barrett”, che può evolvere in displasia e adenocarcinoma.
In Italia il 44,3% della popolazione dichiara di soffrire di reflusso gastro-esofageo e di fatto il 15-20% delle persone che ne sono affette in maniera cronica è portatore di esofago di Barrett. Il rischio di evoluzione della metaplasia di Barrett in adenocarcinoma non è elevato, è pari allo 0,4-0,5% annuo, ma questo rischio aumenta quando la superficie della metaplasia è molto ampia. L’estensione e le caratteristiche della mucosa trasformata vengono valutate con l’endoscopia del tratto esofago-gastrico, durante la quale si eseguono biopsie della mucosa. Fondamentali dunque i programmi di sorveglianza per i portatori di esofago di Barrett, sostenuti dalle principali società scientifiche, il cui scopo è di riconoscere la trasformazione neoplastica in fase precoce.
Nel 2020 in Italia sono stati registrati 2.400 nuovi casi di tumore all’esofago (nel 2019 erano 2.000) (rapporto I numeri del cancro in Italia 2020, pubblicato da AIRTUM e AIOM).
Radiologi, gastroenterologi, oncologi, patologi, biologi molecolari, genetisti sono tra le figure professionali che compongono i gruppi chirurgici dell’EACSGE, impegnati in maniera sinergica nella cura e nello studio dell’adenocarcinoma esofageo. Al recente congresso ESDE, il gruppo EACSGE ha presentato un nuovo algoritmo prognostico, legato allo studio istopatologico della neoplasia operata in prima istanza. Tale indice, coniugato con lo stadio patologico della malattia, distingue i pazienti che hanno eccellente probabilità di sopravvivenza con la sola chirurgia da quelli che invece hanno un basso indice di sopravvivenza, per i quali è imperativo proporre nuovi e più efficaci schemi terapeutici.
EACSGE ha anche incrociato il dato anatomo-patologico con quelli bio-molecolari e genetici: tali processi hanno permesso di categorizzare la malattia in ulteriori sottogruppi.
“Abbiamo così messo le basi per nuovi programmi di ricerca per identificare terapie mirate per i sottogruppi definiti, secondo i principi della “medicina personalizzata” – commenta il prof. Mattioli – e per sviluppare metodi diagnostici non invasivi, da impiegare nei programmi di screening dei pazienti a rischio, quali sono ad esempio i portatori di esofago di Barrett esteso, per la scelta della strategia terapeutica all’atto della diagnosi della malattia secondo criteri predittivi dell’efficacia delle terapie oncologiche, per la valutazione degli effetti di tali terapie, per il costante controllo dei pazienti in terapia perché portatori di malattia attiva”.
A tale scopo, EACSGE da tempo si interessa delle metodiche di raccolta delle cellule neoplastiche e del DNA della neoplasia circolanti nel sangue, mediante semplici prelievi venosi periferici, e dell’applicazione dell’Intelligenza Artificiale per l’acquisizione e l’elaborazione dei dati.
Il prof Mattioli è inoltre riconosciuto quale uno dei massimi esperti delle malattie benigne dell’esofago, tra cui la MRGE e l’ernia gastrica hiatale, l’acalasia, per cui ha ideato, sperimentato e proposto nuove tecniche chirurgiche che oggi sono tecniche di riferimento. Tale esperienza, insieme a quella dei colleghi specialisti del gruppo EACSGE, ha costituito la base delle poliedriche ricerche ora in essere. Maria Cecilia Hospital, struttura di Alta Specialità dove opera il professore, è centro di terzo livello, caratteristica degli ospedali a cui vanno riferiti i pazienti affetti da patologie oncologiche complesse come il tumore dell’esofago.